Echi dal Passato: Lucrezia Borgia, vita di una donna vittima del suo tempo.
Tutto iniziò in una tiepida giornata di primavera. Passeggiavo tra le vie di Ferrara, la città che avevo scelto per passare qualche giorno lontano da casa.
Camminai a lungo quel pomeriggio, ammirando edifici storici e angoli silenziosi, sognante, con il naso all’insù. I trilli delle biciclette riuscirono a riportarmi con i piedi per terra. Per non essere d’intralcio, a passo svelto mi accostai al ciglio delle strada, poggiando la schiena contro i bollenti mattoncini rossi del Monastero e Chiesa del Corpus Domini.
Mi affacciai per guardare dentro. Il clima all’interno era freddo. Una sferzata di vento mi scompigliò i capelli. Da dove arrivava? Uscii rapidamente, allontanandomi smarrita, ma senza pormi troppe domande.
Passarono giorni, settimane da quell’episodio. L’estate iniziò. Domenica 24 giugno il sole decise di accogliere la nuova stagione con molto slancio. Ne approfittai per conoscere un posto nuovo: Subiaco. Terra di Monasteri e di Storia. Esplorai i luoghi sacri, le bellezze naturali e infine mi incamminai fino alla vetta del paese, per visitare la Rocca Abbaziale, la Rocca dei Borgia, un possente maniero a dominio del borgo.
Sale dipinte, finiture dorate sulle porte, rilievi di pregio. Lo sfarzo dei Borgia. Una dinastia dalla fama ben nota. Scrollai il capo, scesi le scale, giunsi nel cortile. Un vento gelido mi sorprese, facendo fluttuare nell’aria il foulard che tenevo sulle spalle. Lo rincorsi. Si poggiò su una rosa bianca dalle sfumature rosse che solitaria nasceva dalla terra arida.
Accanto ad essa, una donna con il capo coperto guardava verso l’infinito. Mi avvicinai repentinamente per recuperare il mio accessorio.
La voce flebile della misteriosa figura mi immobilizzò.
“Anche tu pensi che sia stata una donna avida, lussuriosa e senza scrupoli?“
“Come scusi? Perché mi chiede una cosa simile? Nemmeno la conosco” risposi con tono sorpreso.
Scostò il velo che le nascondeva i lunghi e ricci capelli biondi. Notai rassegnazione dietro all’amaro sorriso che aveva disegnato sul viso. La pelle pallida come porcellana sembrava come una nuvola ad incorniciare due occhi fieri azzurri come il cielo.
“Ambiziosa, Libertina, Dissoluta, Frivola, Bramosa.. addirittura Assassina e Avvelenatrice, così mi definite” disse con arrendevolezza.
“Lucrezia? Lucrezia Borgia?” indietreggiai.
“Anche tu hai paura di me? Della cospiratrice Dama Nera del Rinascimento?” domandò in tono sprezzante.
Rimasi in silenzio. Immobile. Una ciocca di boccoli le sfuggì dalla acconciatura semplice ed elegante. Si chinò verso la rosa. La colse. La avvicinò al naso, poi al petto coperto da abiti umili. Mi rivolse uno sguardo penetrante, ma dolce. “Io sono come questa rosa” affermò improvvisamente “Rossa come il sangue e bianca come il candore della neve“.
Non capii, ma ero affascinata dalla sua figura così lontana da come la avevo sempre immaginata. “Signora, cosa intendete?” ebbi il coraggio di chiedere.
“I crimini della mia famiglia, hanno dato alla storia terreno fertile per parlare di me negli anni come una donna malvagia. Illustri autori di ogni epoca e luogo hanno scritto di me. Ma nessuno si è mai soffermato ad indagare su quale fosse la verità dei fatti narrati”.
“Non hanno raccontato la verità?” domandai.
Lei fece “no” col capo. Guardò verso la Rocca. La indicò con le dita sottili.
“E’ lì che sono nata. Il 18 aprile 1480. Nella stanza che mio padre Rodrigo aveva allestito per mia madre Vannozza, la sua amante. Rodrigo. Così lo chiamava mia madre, ma in realtà per tutti era Papa Alessandro VI. Ero la sua prediletta, la più piccola di quattro fratelli. All’epoca credevo fosse mio zio. Scoprii la verità solo quando a soli tredici anni, lui e la mia famiglia decisero di farmi sposare con un uomo a me sconosciuto.
Giovanni si chiamava il mio sposo. Giovanni Sforza. Un ventisettenne vedovo della prima moglie morta di parto che supportò mio padre nella nomina al papato. Fui concessa in sposa per riconoscenza stipulando però, data la mia giovane età, un patto che io non compresi: il matrimonio non doveva essere “consumato” per i primi anni.
Giovanni era gentile, finché mio padre e mio fratello Cesare lo accusarono di impotenza con lo scopo di far annullare le nozze. Con l’ascesa al potere di Carlo VIII, l’alleanza con gli Sforza non era più così vantaggiosa. Naturalmente, mio marito smentì con forza tali ingiurie, ma per difendersi accusò me e mio padre di incesto, infangando per sempre il mio nome e il mio onore.”
“E non era vero?” mi permisi di chiedere.
“Ero solo una bambina” fu la sua risposta.
La osservai con aria investigatrice, cercando di carpire dalle sue espressioni se stesse mentendo. Incurante del mio sguardo proseguì il suo racconto.
“Mi rifugiai a Roma dove compresi cosa fosse l’amore e di cosa fosse capace la mia famiglia. Mi innamorai di Pedro, un ragazzo spagnolo, di bell’aspetto che serviva mio padre. Mantenemmo la nostra relazione segreta, ma il Papa e Cesare lo scoprirono. Non so come. Pedro venne ucciso. Ammazzato e gettato nel Tevere con la mia dama di compagnia Pentesilea. Io fui mandata in un convento, dove nacque il frutto del nostro sentimento”
“Avete avuto un figlio?” la interruppi.
Annuì. “Nacque malato” continuò “Cesare me lo portò via per curarlo, ma non lo rividi mai più. I piani di mio fratello e di mio padre non potevano essere intralciati da quella creatura innocente. Avevano previsto già un secondo matrimonio: Alfonso d’Aragona, Duca di Bisceglie, figlio illegittimo del Re di Napoli.”
“Lo sposaste?” le chiesi.
“Certo. Ma non solo perché mi fu imposto. Fu amore a prima vista per entrambi. Lo ricordo con i suoi occhi color oceano, il temperamento focoso e l’aspetto regale. Aspettai subito un figlio da lui, ma la mia felicità non durò a lungo. L’avidità di potere di Cesare, la perfidia di mio padre e dei suoi alleati non ci lasciò scampo.”
“Cosa significa?”
“Mio fratello sposò la principessa di Navarra mentre il Re di Francia, cugino del fraterno amico di mio padre Ludovico il Moro, premeditava di conquistare il Regno di Napoli. Alfonso, a loro avviso, non era più un buon partito per me. Mi allontanarono da lui nominandomi governatrice di Spoleto. Cercarono di ucciderlo. Mio marito si rifugiò dai suoi parenti, poi pretese che tornassi da lui. Andammo a Roma, dove nacque nostro figlio Rodrigo. Come mio padre. Ma tutto questo non fu sufficiente. Fu ucciso in un’imboscata ordita da chi sentivo più vicino.”
Una lacrima scese sul suo viso.
“Non lo avete ucciso voi quindi? Non lo avete avvelenato?“
“Io?” disse sbigottita asciugandosi con grazia la guancia. “Io lo amavo. Davvero. Ma sai, una donna nel ‘500 non poteva scegliere chi amare. Nonostante tutto non riuscii mai a provare odio per mio padre e mio fratello. Per Cesare nutrivo un affetto che molti scambiarono per altro. O forse anche io me ne convinsi. Gli confessai i miei sentimenti. Mi derise affermando che anche lui mi voleva bene, ma come una sorella.” si incupì.
“Da allora la mia vita non fu più la stessa. Non volevo essere più la Lucrezia vittima della società. Mi accompagnai a uomini di passaggio, attori, intellettuali, approfittando del fascino che esercitavo su di loro. Fredda e insensibile partecipavo alle feste di famiglia. Spettatrice dal cuore di pietra di scabrosi eventi organizzati per soddisfare le fantasie di mio padre e di Cesare. La mia reputazione era ormai parallela a quella dei miei parenti più prossimi. In tutti i regni si parlava della mia crudeltà, della mia mancanza di scrupolo e di come avvelenavo gli uomini.” sorrise con sarcasmo.
“Lucrezia l’assassina. Lucrezia la sanguinaria. Quegli appellativi non mi appartenevano. Qualcosa doveva cambiare. E cambiò.“
“Quando?” le domandai incuriosita.
“Nel 1501 sposai Alfonso d’Este, signore di Ferrara. Inizialmente, benanche portai una dote di tutto rispetto, non fui vista di buon occhio. Mio cognata Isabella mi odiava. Forse perché intuì la mia vicinanza con suo marito Francesco II Gonzaga.
Ma poi, pian piano, il popolo iniziò ad affezionarsi a me e a dimenticare il mio lato oscuro. Vedevano solo la mia intelligenza e bontà d’animo. Tornai ad essere me stessa, circondandomi di intellettuali e poeti, abbandonando il lusso e lo sfarzo dedicandomi ai più bisognosi. Mi avvicinai alla religione e indossai il cilicio per espiare i miei peccati. Aprendo il mio cuore compresi di provare grande affetto per il mio consorte. Da lui ebbi ben sette figli.
A 39 anni però, nel dare alla luce Isabella, una febbre non mi lasciò scampo. Ma non ne fui triste. Finalmente potevo ricongiungermi con Dio. Era il 24 giugno, proprio come oggi. Il mio corpo ora riposa accanto a mio marito nel Monastero del Corpus Domini di Ferrara, la città della mia redenzione. Ma una parte di me è ancora qui, a Subiaco, dove sono nata”.
La guardai sbigottita. Ripensai a quello strano vento nella chiesa di Ferrara, lo stesso che mia aveva condotto ora da lei. Lucrezia Borgia. Una donna spaventosa era in realtà solo una vittima delle angherie di potere e del suo tempo. Lasciò senza risposta alcuni miei dubbi, ma non chiesi di più.
Il suo sguardo non era più di ghiaccio. Era serena. Teneva ancora in mano la rosa. Sorridendo la lanciò in alto. Ne seguii traiettoria. I petali rossi e bianchi si staccarono e, fluttuando, scesero piovendo su di me come piume leggere accompagnate dal vento che si alzò nuovamente.
Lucrezia Borgia era sparita. Raccolsi il mio foulard ormai a terra. Lo riempii di petali e volgendo un ultimo sguardo alla Rocca tornai a casa, felice di aver dato un nuovo volto a una donna alla quale la vita rinascimentale ha regalato dolori, false speranze e ben poche gioie.