Echi dal Passato: Donna Livia Cesarini, duchessa di Genzano di Roma
Durante il mio soggiorno a Genzano di Roma, rimasi affascinata dalla bellezza di Palazzo Sforza Cesarini.
A dominio del borgo vecchio, adiacente al Parco affacciato sul Lago di Nemi, appariva elegante, degno dei più nobili signori.
Entrai. Guardandomi intorno, immaginai dame e gentiluomini solcare quel pavimento.
Pensai che la stessa Livia Cesarini, donna di spicco della nota famiglia di reggenti, strusciasse su di esso i suoi magnifici abiti e acconciasse la sua fluente chioma ammirando lo specchio d’acqua attraverso le grandi vetrate.
Come era stata la sua vita?
Ricordai di aver letto che fu proprio lei a contribuire in modo significativo allo splendore della cittadina di Genzano. Ma come?
Sarà stata una donna forte e intelligente. Chissà che bella vita avrà vissuto.
Persa nelle mie fantasie, osservai tutta l’armonia degli interni del Palazzo. Esplorai le sale. Salii sulla scala di marmo avorio che conduceva ai piani superiori.
Meravigliata, iniziai a ruotare su me stessa, come fossi una bambina. La mia testa divenne un vortice e, per non cadere, poggiai la mano sul finestrone che manteneva ancora l’aspetto originario.
Una luce abbagliante penetrò attraverso il vetro. Coprii gli occhi con il braccio.
“Cosa è stato?” mi chiesi. Parlai ad alta voce e una flebile voce alle mie spalle rispose al quesito.
“Sono stata io”
Una donna raffinata, dallo sguardo fiero e il volto segnato dal tempo, apparve nella stanza. Era seduta su una vecchia sedia a capo di un annoso tavolo in legno marrone.
“Chi è lei?” le domandai sorpresa “E da dove provengono tutti questi arredi?”
La stanza spoglia era improvvisamente ricca di mobilia. Guardai fuori. Tutto era cambiato.
“Sono Donna Livia. Donna Livia Cesarini”
Spalancai la bocca e gli occhi, assumendo un’espressione decisamente poco consona al cospetto di una duchessa. Mi invitò a sedermi accanto a lei.
“Sono lieta che tu abbia pensato a me” iniziò “Ho apprezzato la tua curiosità e così ho deciso di narrarti la mia storia”
Mi accomodai al suo fianco. La guardavo negli occhi nonostante fossi intimidita da suo sguardo.
Lei si voltò verso la finestra e indicandola iniziò il suo racconto:
“Sai, era proprio da lì che mi affacciavo quando pensavo al mio futuro. Al futuro di Genzano.
Sono nata nel 1646, la seconda di dieci figli, e sono sempre stata una bambina ribelle. Mio padre, Giuliano Cesarini, portava sempre in questo Palazzo me e i miei fratelli durante le calde estati.
Era un uomo dalle lunghe vedute. Aspirava a grandi progetti per la sua amata Genzano. Un anno prima della sua morte io e quattro delle mie sorelle, Maria Felice, Cornelia, Camilla e Giulia eravamo entrate in convento. Era il 1664.
La vita monastica, però, non era proprio adatta a me. Espressi il volere di non proseguire quel percorso. Volevo essere libera. Sposarmi. Avere una famiglia. Avevo anche diversi pretendenti. Ma, ahimè, ho dovuto penare non sai quanto. Mio zio, Filippo Cesarini , chierico della Camera Apostolica, aveva preso il titolo ducale di mio padre alla sua dipartita.
Secondo i suoi piani, il patrimonio della mia famiglia era destinato a mia sorella minore Clelia, già promessa al principe di Sonnino, Filippo Colonna. Figuriamoci! Né lui, né la prestigiosa famiglia Colonna avrebbe mai permesso di disperdere la dote di Clelia permettendo anche a me di sposarmi.”
Fece una pausa. Sospirò.
La ammiravo avvolta nella mantella color ocra che riprendeva i dettagli del suo regale vestito di velluto rosso. Mi diedi un tono. Mi rivolsi a lei usando “il voi”, una forma colloquiale ormai lontana dai nostri tempi, ma che esprimeva tutto il mio rispetto nei suoi confronti.
“Cosa avete fatto? Siete rimasta ancora in Convento?”
Sorrise con un’espressione mista tra malinconica e superba
“Io? Rinchiusa tra quattro mura per tutta la vita? Mai! Fuggii e sposai Federico Sforza di Santafiora. Di nascosto. Era il 27 febbraio del 1673. Furono nozze combinate con l’aiuto del Cardinal Paluzzi, ma fu un matrimonio colmo d’amore, felice, arricchito dalla nascita dei nostri quattro figli. Due femmine e due maschi. Gaetano ereditò poi il casato e venne persino tenuto a Battesimo per procura da Re Luigi XIV di Francia, mentre il più piccolo Giangiorgio, quanto era impertinente! Si rese responsabile di un grave oltraggio alla giovane Faustina Maratti, giovane e bellissima fanciulla che tentò di rapire. Per questo venne punito e tenuto in prigione per diverso tempo. Ma questa storia voglio solo dimenticarla.” si incupì.
“Con vostra sorella invece come furono i rapporti?”
Livia, alzò le sopracciglia e le spalle. Il viso era leggermente contratto.
“Con Clelia non ebbi mai un rapporto sereno. Le nostre controversie proseguirono per anni. La famiglia Colonna non voleva rinunciare a nulla. Non volevano darmi ciò che mi spettava. La battaglia legale continuò per molto tempo. Si concluse solo nel 1709, quando, per procura dovettero cedere e restituirmi una parte dei beni.” Il volto tornò disteso, come se il ricordo di quel peso che portò per un lungo periodo fosse stato oltremodo alleggerito.
“E’ vero che è anche grazie a voi che Genzano acquisì un così grandioso splendore?” cambiai discorso.
Orgogliosa e fiera annuì. “ Mio padre, sognava un paese nuovo. Affidò il progetto, all’architetto Gregorini e al podestà Iacobini. Avviò la proposta di una Genzano Nuova, continuata in parte da mio zio dopo la sua morte, ma portata a compimento da me e da Federico.
Il piano urbanistico subì grandi variazioni, basandosi su un sistema di triangolazioni. Se osservi bene, da questa dimora si dirama un lungo viale. E’ un dei tre rebbi del tridente. Gli altri sono rappresentati dall’Olmata e dalla strada che conduce alla vecchia Chiesa dei Cappuccini, fatta erigere proprio da mio padre, nella quale è seppellito. Anche io sono là, accanto a lui e a mio marito.”
Tacque per un istante. Scrollò la testa. Continuò.
“Io, però, posso considerarmi immortale. Vivo ancora nel cuore e nella mente di tutti i Genzanesi. Mi intitolarono persino una via: Via Livia. La strada più bella. Quella che conduce al Duomo di Santa Maria della Cima. La strada dell’Infiorata. Colorata, solare, proprio come me.
Il centro di Genzano sembra proprio sia a forma di mano. Della mia mano. E tra le vie a tridente, mi fu dedicata proprio quella che simboleggia l’anulare, il dito del cuore, della fede, della forza come quella che ho avuto io per questo paese.
Ti dico un segreto. A volte mi manca essere qui. E di notte, a mezzanotte, quando tutti dormono, soprattutto nelle notti d’estate, torno per qualche istante nel Palazzo. Qualche secondo, per respirare il profumo della mia Genzano, dei suoi fiori, delle mura che mi hanno ospitato nella mia vita terrena. Qualcuno mi ha chiamato fantasma. Ah! Non sono uno spettro. Sono l’anima di Genzano, che rivive nelle sue tradizioni, nella sua urbanistica, nella sua gente.”
Chiuse gli occhi. La sua mano eterea sembrò sfiorarmi. Con il capo mi indicò la finestra. Mi alzai. Guardai verso il Parco. Di nuovo un lampo. Mi voltai di scatto. Livia era sparita. Il tavolo e le sedie si erano smaterializzati. Sorrisi. “Grazie per questo meraviglioso regalo Livia, coraggiosa donna” pensai. Mi avviai all’uscita, felice di aver avuto l’immenso onore di “conoscere” la donna che diede nuova vita a Genzano.
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2 commenti
Fabiola lolli
Complimenti,
Mi piace molto come scrivi.
E grazie per tutte queste informazioni
Spero che un giorno potrai visitare anche il mio piccolo paese Serrone
Primo comune della Ciociaria che ha molto da raccontare .
Girovaga Inside
Grazie mille! Spero di poter visitare presto il tuo paese e scoprire tutte le curiosità che ancora non conosco per poterle condividere con tutti voi 🙂