Il Ratto di Proserpina e la Nascita della Primavera (Sicilia)
Nelle verdeggianti pianure intorno ad Enna, viveva Cerere (Demetra per i greci). Era la dea della fertilità, della terra, dei raccolti. Ella aveva una figlia, Proserpina (Persefone per i greci) bellissima, delicata e dall’animo gentile. La ragazza era sempre allegra e si divertiva a correre tra i campi in compagnia di altre ninfe.
Un giorno però, mentre se ne stava spensierata sulle rive del lago Pergusa, con le sue amiche, la tranquillità di una tiepida giornata di sole fu interrotta da un enorme boato.
D’improvviso, dalle viscere della terra, uscirono quattro cavalli neri, trainati da un uomo, bellissimo ma dallo sguardo cupo.
Le fanciulle erano sconvolte. Chi era? Cosa voleva?
Presto capirono. Plutone.
Il dio delle tenebre, innamorato perdutamente di Proserpina, era giunto in superficie per rapirla e sposarla, dopo aver ottenuto il consenso dal padre Giove.
La ninfa Ciane, mentre cercò di salvarla, fu trasformata in fonte.
A nulla servirono le grida e le suppliche della ragazza. Plutone la stava velocemente trascinando negli inferi.
Prima di sparire per sempre, inghiottita dal suo infausto destino, rivolse alla madre un’ultima preghiera di speranza. La natura, che immobile aveva assistito al ratto, con il vento portò la notizia e la supplica fino a Cerere, che ignara, era sull’Olimpo.
Sconvolta e addolorata, cercò sua figlia, per mare e per terra… chiese al cielo, agli animali, a chiunque fosse stato testimone… ma nessuno osò darle ulteriore tristezza.
Dopo nove giorni di agonia, chiese aiuto all’unico che non sapeva mentirle: il sole.
Appresa l’amara verità, Cerere si rivolse a Giove che nulla potè fare per lei poiché Plutone era suo fratello e lui stesso era stato artefice del rapimento. Adirata e sopraffatta dal dolore abbandonò l’Olimpo rifugiandosi in un tempio e lasciando a se stessa la terra che lei un tempo amava tanto.
I prati divennero aridi, i fiori morirono, i frutti marcirono. Iniziò ad esserci la carestia, gli uomini morirono e a nulla valsero le opere persuasive e i doni degli altri dei per farla tornare ad essere quella che era una volta. L’unica cosa che desiderava era sua figlia.
Il Re dell’Olimpo allora, messo alle strette dalla situazione, inviò Mercurio nell’Ade per convincere Plutone a far tornare la moglie alla luce del sole.
Alla richiesta, egli meditò. Non voleva mettersi Giove contro, ma non intendeva perdere per sempre la sua amata. Così, accettò ad una condizione: Proserpina sarebbe potuta salire in superficie se avesse mangiato con lui dei chicchi di melograno. La giovane li prese, non sapendo però che secondo una legge divina, chiunque mangiasse quei semi era obbligata a tornare alla casa coniugale.
Uscita dagli inferi, si recò dalla madre, che quando la vide non credette ai suoi occhi. Le due donne si abbracciarono, ma un velo di tristezza affiorava ancora tra le lacrime di gioia di Cerere. Sapeva, che per quel melograno mangiato con Plutone non sarebbe potuta restare per sempre con lei. Così scese a patti con Giove: il ritorno all’Olimpo in cambio di sua figlia almeno per una parte dell’anno. Il Dio accolse la richiesta e da quel momento i fiori tornarono a sbocciare, gli alberi a germogliare, i prati si tinsero di verde e la natura iniziò a vivere di nuovo.
Il suo mito racconta come l’arrivo di Proserpina sulla terra porti con sé la Primavera, lasciando il posto all’autunno e all’inverno durante il suo ritorno da Plutone.
IMMAGINE: “Ratto di Proserpina”, Bernini, Museo e Galleria Borghese